Intervista a Bonizzato

Intervista ad Alberto Bonizzato

Sulla porta dello studio-laboratorio di Alberto Bonizzato, c’è un cartello che fa sorridere alcuni studenti di passaggio, c’è scritto: “Geni Riuniti”. L’interno è un marasma di tecnologia e meccanica che fa impressione. Decine di prototipi realizzati nei materiali più disparati, pezzi di ferro articolati che, scoprirò poi, si muovono al comando di uno dei quattro computer che affollano la zona operativa, qualche vecchio lavoro del periodo artistico, lampade, elettrodomestici smembrati…

Dobbiamo raccogliere il materiale per la realizzazione del sito. Iniziamo dalle prime cose.

Qualche anno fa i suoi progetti erano gestiti con le tecniche tradizionali del disegno. Cominciamo a sfogliarne alcuni, sono centinaia. Gli chiedo se abbiamo a disposizione delle foto di prototipi e prodotti già in commercio. Comincio a sudare perché mi indica una cassettiera dicendomi che posso guardare là: è colma. Ma sono vecchi lavori, precisa, da alcuni anni è tutto sui computer, progetti e foto…mi mette a disposizione tutto perché lui è impegnatissimo… “Ascolta Alberto, - decido! – per guardare tutto avrò bisogno almeno di una settimana.

---- Era Dante che diceva circa "Non si puote ciò che si vuole, ma si vuole ciò che si puote"? Tutto è legato alle proprie conoscenze. C'è poi anche l'interazione col produttore che di solito tenta di modificare il progetto in funzione di determinate esigenze, non sempre condivisibili, tra l'altro. Questo problema si bypassa però esemplificando il progetto in maniera da non dare spunto a problematiche che potrebbero diventare veramente pesanti.

Ma non è condizionante quest'atteggiamento?

No, perché non è un fatto di orgoglio, piuttosto di disponibilità. Il mio obiettivo è di portare a termine il lavoro a prescindere dalle difficoltà che incontro. Anche perché spesso le difficoltà sorgono, e sono oggettive. Se ad esempio si pensa ad un prodotto con determinate caratteristiche di lavorazione e il produttore non è in grado, per vari motivi di portare avanti quel tipo di lavorazione, c'è poco da fare: o si modifica il progetto o va in malora il prodotto... Un'azienda non può permettersi di sbagliare, difficilmente cambia fornitore, ad esempio, perciò un progetto si deve adattare alla capacità produttiva dell'azienda.

C'è quindi un lavoro preliminare di indagine per verificare quali siano le attrezzature e le potenzialità produttive dell'azienda?

Certamente. Dopo viene la fase in cui si tenta di rispondere agli interrogativi dell'industriale che, essendo un "animale strano", pone spesso problemi assurdi che si è comunque chiamati a risolvere. Rendiamoci conto però che l'investimento necessario per una nuova produzione ammonta a centinaia di milioni, spesso anche a miliardi. Questo atteggiamento è dunque logico e condivisibile. Il designer diventa la spalla, anche a livello psicologico, che deve dare determinate garanzie di sicurezza e di preparazione tecnica.

Un progetto però, specie se complesso, non può essere ben definito fin dalle prime fasi...

Dovrebbe invece! Quello che un designer dovrebbe fare è risolvere fin dalla prima fase progettuale tutte le problematiche mantenendo però aperto il progetto alle modifiche che potrebbe essere necessario apportare in virtù di nuove condizioni. Dal momento in cui si decide di mettere sul mercato un prodotto nuovo, alla sua commercializzazione, possono cambiare molte cose, ci possono essere scoperte tecniche, nuove situazioni politiche che facilitano o appesantiscono il mercato, ecc. Il progetto deve potersi modellare senza difficoltà alle nuove condizioni.

Che ne dici se oggi ti faccio solo qualche domanda? Così, per conoscerti meglio, carpire la metodologia del tuo lavoro e le caratteristiche, se ci sono, che ti contraddistinguono come designer?”.

Vedo che mi guarda un po’ dubbioso ma accendo il registratore.

In un progetto, conta più la parte creativa o più l'influenza del mercato? Come si fa insomma a far confluire l'esigenza creativa del designer nel progetto di un oggetto appetibile per il mercato?

E' un connubio che si genera spontaneamente, qualora l'elemento chiave del progetto stia nell'equilibrio tra creatività e tecnologia.

Bhè, non è facile... Ma c'è uno spirito creativo, artistico nello sviluppare queste tematiche?

La soluzione di un problema tecnico "è" sempre un'operazione creativa e non manca di un risvolto implicitamente estetico.

Possiamo fare un esempio?

L'apparecchio a raggi X, per radiografie odontoiatriche, ad esempio (vedi). C'erano problematiche finanziarie. Si voleva una qualità di prodotto che richiedeva un investimento di centinaia di milioni ma le risorse economiche messe a disposizione erano davvero esigue. Così, per la soluzione tecnica usata convenzionalmente, ho inventato un approccio diverso. Tradizionalmente la produzione avrebbe richiesto la realizzazione di almeno quattro stampi, qui si è proceduto diversamente. Dopo una prima fase di definizione formale, fatta al computer in 3D con animazioni, ecc., e la realizzazione del prototipo, ho studiato un sistema di stampaggio "in negativo". In pratica la parte che rimaneva grezza, ed era destinata all'interno, nelle lavorazioni tradizionali, qui diventa invece visibile. Ovviamente si sono dedicati dei particolari accorgimenti nella realizzazione degli stampi. E' stata una bella sfida tecnologica. Si è riusciti ad ottenere, contro lo scetticismo iniziale dei tecnici, un prodotto d'altissima qualità ad un costo irrisorio.

Ci sono degli altri prodotti che possono essere significativi di questo approccio?

Evolution Line (vedi), la carrozzina per disabili. Abbiamo fatto un'analisi delle problematiche della lavorazione del prodotto accorpando la produzione in due soli pezzi realizzati con stampi ad iniezione. Su questi pezzi vanno poi semplicemente assemblate le parti semilavorate. Si è puntato alla massima industrializzazione della produzione, si sono eliminate tutte le operazioni a carattere artigianale che dovessero necessariamente essere eseguite e seguite in sede. Tutti gli elementi costruttivi della sedia diventano così facilmente assemblabili e intercambiabili e ciò consente al produttore di affidarsi, nella realizzazione dei pezzi, anche a partners esterni altamente specializzati.

Spieghiamo come si arriva ad acquisire queste capacità. La tua formazione per esempio?

Guarda, la formazione si acquisisce lavorando negli anni mantenendo l'atteggiamento di curiosità e imparando da quello che si fa. Chiaro che una scuola adatta può dare le basi per un lavoro proficuo negli anni a seguire ma non è indispensabile. Io ho frequentato un master di tre anni a Padova dove ho incontrato Giorgio Stabellini, che insegnava tecnologia, e che mi ha dato dei forti input.

Ma io so che tu hai "rubato" qualche lezione alla facoltà di architettura di Venezia...

(ride) Ero a conoscenza di alcuni corsi interessanti... Diciamo che ho trasformato l'istruzione in informazione.

Ma non ti sei laureato?

Veramente non ero neppure iscritto, a quel tempo comunque già lavoravo e seguire quei corsi era per me solo una questione di informazione ripeto.

Qual'è stato il tuo primo lavoro?

Il mio primo incarico è stato per un’industria di abbigliamento tecnico da golf. Mi posero un problema. Volevano fare un sistema che doveva mettere in tensione un giaccone da golf: che non facesse rumore, che non fosse una fibbia, che non si dovesse manovrare per agganciare-sganciare. Così ho inventato una fibbia magnetica a dente di sega: da un lato un lamierino annegato in un materiale plastico morbido adatto alla cucitura, dall'altro degli elementi di gomma magnetica con quest'incastro molto semplice che manteneva in trazione il giubbotto senza difficoltà.

Realizzato il progetto?

(ride) No.

E la prima produzione vera e propria?

Un mobile porta computer (vedi DB Ring N.d.R.) Un bel pezzo. Ha anticipato l'uso del metallo nell'arredo, che ora si fa predominante.

· Quello che ti ha dato più soddisfazione?

Senz'altro la carrozzina in fibra di carbonio per disabili che è una dei due unici prodotti al mondo con queste caratteristiche (vedi Carbon Regen N.d.R.).

Poi è nato il rapporto con Termozeta...

Un bellissimo rapporto di reciproca stima che continua proficuamente da diversi anni. Anche ora stiamo lavorando a diversi elettrodomestici (anteprima scopavapore N.d.R.) come nuovi tipi di ferri da stiro, friggitrici, apparecchi a vapore, lava-aspira, ecc…. Ma soprattutto si sperimentano e si sviluppano nuovi sistemi e concezioni del lavoro domestico. Per esempio sta per concretizzarsi una vecchia e delirante proposta, il ferro da stiro a due punte, che negli anni ’50 era già stata fatta senza riscontrare interesse, mentre oggi con i Single che notoriamente non sanno stirare, trova una sua specifica ragione di essere.

Che messaggio vorresti mandare ai visitatori del tuo sito che, vista la tipologia e la mole di lavoro che hai svolto, saranno sicuramente numerosi ed eterogenei?

Il sito sarà rivolto innanzi tutto alle aziende, ma anche a chi è curioso di vedere la realtà concreta del design, liberata cioè dall’ostentazione degli aspetti puramente stilistici, avveniristici. Un approccio assolutamente sostanziale, rivolto a risolvere i problemi concreti della produzione e della commercializzazione del prodotto. Il designer professionista esiste in funzione dell'azienda, la quale non ha bisogno di visionari: l’estetica e la tecnologia non sono mai scindibili.

(Verona, 29 maggio 1999)

Intervista raccolta da

Antonio Leo.